Poemas de Trieste: una donna incantata…
“A veces dudo si Trieste no fue un espejismo, / una precaria gloria de la felicidad (A volte mi chiedo se Trieste non sia stata che un miraggio,/una precaria gloria della felicità.)
È Trieste, ancora una volta protagonista di un lirismo che cerca spazio tra altri già esistiti.
È Carlos Penelas che a differenza di tutti i grandi scrittori che hanno fatto di Trieste il loro palcoscenico letterario, ha saputo leggere un incanto e una bellezza dentro una città definita troppo spesso in un gioco di parole ‘la Trieste triste’.
È arrivato, l’ha amata, l’ha trascritta e se n’è andato di nuovo.
Il 13 aprile del 2013 il postino ha suonato alla mia porta per consegnarmi un pacco dove dentro c’era Poemas de Trieste firmato da Carlos Penelas e una breve dedica di ringraziamento.
È una collaborazione iniziata quasi per gioco e sicuramente per caso.
Mentre servivo cappuccini e sparecchiavo tavoli in hotel James Joyce – lo stesso dove lui ha soggiornato – un collega mi informa che un poeta argentino di fama internazionale voleva conoscermi per una traduzione.
Dopo lo scambio di mail tramite l’hotel, mi scrive il giorno dopo:
“Ho soggiornato per qualche settimana presso l’hotel James Joyce per terminare il mio libro di poesie su Trieste. Cercavo assiduamente una traduttrice che conoscesse bene la lingua spagnola e i tuoi colleghi mi hanno dato il tuo nome. So che lavori lì come cameriera delle colazioni, che studi lingue, che scrivi e soprattutto che hai vissuto in Spagna. Ti va di tradurre due poesie del mio libro?”
In brevissimo tempo si è creata una fitta rete di scambi letterari, in cui Penelas mi ha inviato tutte le sue conferenze, le critiche sul suo nuovo libro, vecchi articoli e poesie scritti anni prima e, sempre, un’allegria e una gratitudine rara.
Le poesie che mi ha chiesto di tradurre non sono state altro che due, ma a me è sembrata la “missione” più bella che mi potesse capitare negli ultimi due anni dove la mia “arte” maggiore era diventata quasi solo servire cappuccini e pulire pavimenti.
In Hotel James Joyce e En la noche despierta del otoño (Nella notte sveglia dell’autunno) Carlos Penelas ha disegnato un incontro perfetto tra le sue emozioni e gli scorci di Trieste; parlare di descrizione nelle sue poesie mi sembra piuttosto azzardato, ma l’incanto che è riuscito a trasmettere nei “loro” incontri, ricorda il lirismo di un’amata, una città che si fa donna davanti agli occhi del poeta.
Trieste, allora, assume una nuova soggettività: non più la triste città del nord-est italiano, che nulla ha a che fare con l’Italia (e con gli italiani), bensì si tramuta in un “miraggio”, un arabesco illuminante che appare per offrire beatitudine, sciogliendone l’amarezza: Y la luz silenciosa y alta del verano/vaga en este sentir melancólico, absoluto/anhelante de claridades. – E la luce silenziosa e alta dell’estate/vaga in questo sentire malinconico, assoluto/anelante di sincerità.
Trieste nei suoi silenzi è una sorta di “bella addormentata” che non chiede di essere risvegliata, ma soltanto contemplata attraverso l’emozione che uno sguardo al mare, un saluto a un passante, o una passeggiata solitaria tra le vie di Cavana può dare vita ad un nuovo momento: Esta ciudad cambió mi vida – Questa città ha cambiato la mia vita.
Poemas de Trieste ha dato una lettura nuova di una città già “denominata”. Le ha dato una nuova dignità e un sospiro di sollievo, una forma di riscatto che si offre umile e sentimentale tra le mani dei lettori.
EN LA NOCHE DESPIERTA DEL OTOÑO
Ahora que flotan tus vestidos en las aguas,
ahora que tu voz cruza lutos y banderas anarquistas,
siento la lluvia y la derrota en este asombro,
en un parque de rostros primitivos.
Los espejos ocultan esa otra incertidumbre,
esas piedras silvestres de los montes
como si se tratase de pescadores o mujeres con velas
desaparecidos en la tormenta o en el odio.
(Esta ciudad cambió mi vida
una noche que contemplé el mar desde la niebla).
Aun rompe el tiempo el pájaro que reposa
sobre el árbol. Aún ofrece al viento el desatado
recuerdo de sus cabellos, la penetrante soledad
murmurando tus senos, sostenidos e intensos.
Y la luz silenciosa y alta del verano
vaga en este sentir melancólico, absoluto
anhelante de claridades. Impaciente.
Carlos Penelas
(Poemas de Trieste)
‘deso che le tue straze xe in acqua
‘deso che la tua vose pasa lutti e bandiere anarchiche
sento la piova e la sconfitta in ‘sto stupor,
in un parco de visi primitivi.
I speci scondi ‘sta altra incertezza,
queste piere silvestri dei monti
come se fosi pescadori o babe con vele
sparidi nel neverin o nell’odio.
(‘sta cità ga cambia’ la mia vita una note che vardavo el mar oltre el caligo).
Ancora infrangi el tempo l’usel che sta sull’albero
ancora ghe da’ al vento el ricordo sfrenato dei suoi cavei, la solitudine che vien dentro
mormorando i tuoi seni, sostenuti e intensi
e la luce zita e alta dell’estate
va in giro in ‘sto sentir malinconia, assoluto
anelante de sincerità. Impaziente.
NELLA NOTTE SVEGLIA DELL’AUTUNNO
Ora che fluttuano i tuoi vestiti nelle acque,
ora che la tua voce attraversa lutti e bandiere anarchiche,
sento la pioggia e la sconfitta in questo stupore,
in un parco di volti primitivi.
Gli specchi nascondono quest’altra incertezza,
queste pietre silvestri dei monti
come se si trattasse di pescatori o donne con vele
scomparsi nella tempesta o nell’odio.
(Questa città ha cambiato la mia vita
una notte che contemplavo il mare attraverso la nebbia).
Ancora infrange il tempo l’uccello che riposa
sull’albero. Ancora offre al vento il ricordo
sfrenato dei suoi capelli, la solitudine penetrante
mormorando i tuoi seni, sostenuti e intensi.
E la luce silenziosa e alta dell’estate
vaga in questo sentire malinconico, assoluto
anelante di sincerità. Impaziente.
Francesca Schillaci
(traduzione)
HOTEL JAMES JOYCE
A través de la noche – cerrando los ojos en esa sombra abierta del sueño –
entra el mar a mi cuarto. Hay constelaciones y moradas en un olvido sin
edad ni fondo. Entra también el cielo y el silencio; brotan palabras hermosas.
Duérmete, amada, y contempla esta noche donde nuestros nombres no
regresan. Ven a ver el viento entre veleros, lo visible y palpable que está
afuera de ésta habitación. Hay nubes de toda condición, almas tatuadas por
caricias ardientes, una alegría serena que madura desnuda, una hora y las
campanas de la iglesia ortodoxa, una túnica azul de espuma y los monosílabos
que hacen saltar a Trieste. (Pero también veo la Risiera de San Sabba y las
pinturas de Vito Timmel. ¡Ay, qué dolor, qué terrible todo!)
El edificio es de 1770 y frente a mi se extiende el mundo. Algo se anuncia,
amada, algo se anuncia en estas alas hacia auroras distantes. Algo que
desconozco vuelve a ser todo. No es el azar ni la plegaria. Tampoco es fruto
de una bella ilusión. Hay una pasión que huye, un deseo por perecer en
hondo aliento. Un ascenso de otra magnitud, redentor, que respira la
eternidad del hombre, que invade recuerdos, el amor en la memoria de
los árboles, de las travesías. En la mirada – radiante y sorprendida – una
fábula eleva el tiempo de los días. En vía dei Cavazzeni, 7 los ojos se
consuelan y apaciguan cuando a través de la noche los dioses invocan la
circulación de ese mar trajinante.
Carlos Penelas
(Poemas de Trieste)
HOTEL JAMES JOYCE
Nel mezzo della notte – chiudendo gli occhi in quest’ombra aperta del sogno-
entra il mare nella mia stanza. Ci sono costellazioni e dimore in un oblio senza
età né fondamenta. Entra anche il cielo e il silenzio; borbottano parole leggiadre.
Dormi, amata, e contempla questa notte dove i nostri nomi
non ritornano. Vieni a vedere il vento tra i velieri, il visibile e il palpabile che sta
fuori da questa stanza. Ci sono nuvole di ogni tipo, anime tatuate dalle
carezze ardenti, un’allegria serena che matura nuda, un’ora e le
campane della chiesa ortodossa, una tunica azzurra di schiuma e i monosillabi
che ricordano Trieste. (Ma vedo anche la Risiera di San Sabba e i
dipinti di Vito Timmel. Oh, che dolore, quant’è terribile tutto!).
L’edificio è del 1770 e di fronte a me si estende il mondo. Qualcosa si annuncia,
amata, qualcosa si annuncia in queste ali verso aurore distanti. Qualcosa che
non conosco diventa tutto, di nuovo. Non è né l’occorrenza né la preghiera. Non
è neanche il frutto di una bella illusione. C’è una passione che fugge, un desiderio per perire
in un respiro profondo. L’ascesa di un’altra grandezza, redentore, che respira
l’eternità dell’uomo, che invade ricordi, l’amore nella memoria degli
alberi, delle traversate. Nello sguardo – raggiante e sorpreso – una
favola erige il tempo dei giorni. In via dei Cavezzeni, 7 gli occhi
si consolano e si quietano quando tra la notte gli dei invocano lo
scorrimento di questo mare trascinante.
Francesca Schillaci
(traduzione)
Qualcosa sull’autore:
Carlos Penelas nasce ad Avellaneda, in provincia di Buenos Aires (Argentina) nel 1946.
È poeta, scrittore e conferenziere. Ha pubblicato finora più di venti opere tra poesia e prosa, tra le quali si posso dividere Poemas del amor sin muros (1970), La gaviota blindada y otros poemas (1975), Conversaciones con Luis Franco (1978), Los dones furtivos (1980), Finisterre (1985), Queimada (1990), El corazón del bosque (1992), El mirador de Espenuca (1995), Guiomar / Cantiga (1996), Los gallegos anarquistas en la Argentina (1996),Valses poéticos (1999), Desobediencia de la aurora (2000), El regreso de Walter González Penelas (2001), Elogio a la rosa de Berceo (2002), Diario interior de René Favaloro (2003), El aire y la hierba (2004), Crónicas del desorden (2006), Romancero de la melancolía (2007), Fotomontajes (2009), Antología personal (2010, Calle de la flor alta (2011), Poesía reunida (2012).
Un’estesa opera poetica che vede coinvolti nella critica e nella lettura attenta scrittori come Luis Franco, Raúl González Tuñón, Ricardo Molinari, Juan L. Ortiz, Elvio Romero, Osvaldo Bayer, David Viñas, Eduardo Blanco Amor, Héctor Ciocchini, Xesús Alonso Montero, Graciela Maturo e altri ancora, si rivela come un “divenire creatore” di Carlos Penelas, massimo esponente tra i poeti più rappresentativi d’Argentina.
La critica ha notato nella poetica di Penelas una preoccupazione radicale nell’addentrarsi dentro i simboli espressivi e nelle strutture moderne, conciliando in questo sia il peso che la misura del suo lirismo.
Francesca Schillaci
© centoParole Magazine – riproduzione riservata
Francesca Schillaci, redattrice. Frequenta il corso di Lingue e Letterature straniere presso l’università di Lettere e Filosofia a Trieste. Da sempre amante di letture di classici, si dedica alla musica, al disegno e alla scrittura, prediligendo la fusione dell’arte musicale con la composizione poetica; in Spagna pubblica la sua prima introduzione per un libro di fotografia e una volta tornata in Italia inizia a collaborare con più pubblicazioni online (‘La Voce di Trieste’ , ‘dotART Magazine’, ‘TriesteAllNews’. Attualmente collabora ad un progetto di pubblicazione per un giornale cartaceo di un rione di Trieste, dal titolo ‘Citavecia Starigrad’.
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